Tobia, lu cinghiale
Claudio Tobia è stato un pezzo della storia rossoverde, sicuramente il più importante della storia recente, quella che attraversa la nostra memoria. In assoluto è il secondo allenatore con più panchine rossoverde, secondo solo a Corrado Viciani. E solo questo basterebbe per inquadrare quanto sia stato importante per la Ternana.
Lu Cinghiale. Sebbene non fosse ternano di origine è stato ternano dentro. E’ stato ternano fino alla fine. Ha fatto innamorare della Ternana tante generazioni e si è sempre messo a disposizione della società, per intervenire in momenti difficili.
La sua favola a Terni (eh si perché Tobia la serie A l’aveva già masticata ad Avellino) nasce con Gambino nel 1988. Quella squadra entusiasma. E rimane scolpita nella memoria come una delle Ternana più belle della storia. Chissà forse non è neanche più vero: ma andatelo a dire ai 15mila che erano a Cesena per lo spareggio.
11 giugno 1989, “io c’ero”. Ogni macchina di Terni aveva l’adesivo sul lunotto posteriore. Fu un esodo senza precedenti, per sancire chi avrebbe accompagnato la Fidelis Andria in Serie C1. Fu la partita dei rigori, dell’errore del “giovane Leone”, della festa incredibile che si scatenò nei giorni successivi. Claudio Tobia di quella squadra era non solo l’allenatore, ma anche il papà, il plasmatore. Renzi, Pochesci, Cocco, Garritano, Sciannimanico, Perfetto, Doto. Sono solo alcuni degli straordinari protagonisti di quella stagione che ha scaldato così tanto i cuori della tifoseria. E lui era il mister: uno straordinario punto di riferimento, anche per la città.
Istrionico, incazzoso, battuta pronta, sempre in movimento. Pensava ai suoi e all’avversario contemporaneamente. Sentiva l’affetto della gente addosso e provava in tutti i modi a restituirlo. Schietto, sempre. A volte urticante.
Venne richiamato più volte sulla panchina della Ternana. Anzi più che venne richiamato si mise lui a disposizione in momenti certamenti non felici della storia del club. Tornò a fare l’allenatore in Serie D, dopo il fallimento. Tornò sulla panchina della prima squadra in sostituzione di Agostinelli (01-02), per 5 partite senza riuscire a vincere, prima dell’arrivo di Bruno Bolchi: era l’anno della retrocessione a Bari della Ternana di Agarini. Ci tornò di nuovo tre anni più tardi, addirittura per tre volte: era la Ternana che cominciava fortemente a balbettare, la Ternana dei 4 allenatori che non trovava pace, ma che riuscì a salvarsi. Chiamato dopo l’esonero di Verdelli, poi dopo quello di Vavassori, poi dopo l’addio di Brini a fine campionato e qui arriva la sua vittoria in B, contro il Catanzaro.
Ha sempre preso questi impegni con il massimo della concentrazione, non sentendosi mai traghettatore, ma cercando di mettere sempre tutto sé stesso: perché per la Ternana ha sempre dato tutto. Sapeva che anche da un dettaglio poteva nascere una grande opportunità, anche se poi in realtà non è stato così. Ma non si è mai tirato indietro, proprio per il grande amore che aveva nei confronti di questa piazza.
E’ rimasto nella Ternana, nelle giovanili, fra le due esperienze in prima squadra negli anni 2000. Poi ha cominciato a girare, ma avendo sempre come centro geografico Terni, dove viveva. Ha allenato la Narnese, negli anni 90, il Campomaggio, in Valnerina.
E’ sempre stato nei nostri cuori e sempre ci rimarrà. Fin quando era possibile incontrarlo in giro non si sottraeva mai a una battuta, rigorosamente di calcio. Sempre disponibile, sempre unico. Grande personalità e sicurezza, occhio vivace. Il baffo che tremava se c’era da arrabbiarsi o che si stirava quando capivi che era d’accordo con te perché cominciava a sorridere. Il tono della voce, spesso alto, lo modulava come un grande attore. Sapeva attirare l’attenzione, sapeva come catturare la platea e allo stesso modo nello spogliatoio teneva i suoi giocatori attaccati a sé.
La sua storia rimarrà indissolubilmente legata a quella della Ternana, ora e per sempre. Sarebbe bello trovare il modo di consolidare ancora questo legame. Per far ricordare ancora a tutti che l’amore nei confronti della Ternana non conosce categorie, non conosce difficoltà e non conosce limiti. E quei baffi ce lo ricorderanno per sempre.