Finiti alibi e prove d’appello, 180 minuti e si faranno i conti
Due partite, centottanta minuti. In coda a nove mesi di delusioni (tante) e gioie (molte di meno) il destino della Ternana si compirà all’ultimo miglio nelle due ultime e decisive gare di una stagione sciagurata. Iniziata con la rabbia e arrivata con altrettanto malumore al compimento di un destino che molti avevano pronosticato già in estate con la giusta dose di realismo. Ora che il Crotone ha battuto il Varese scavalcando i rossoverdi in classifica il baratro dei play out è spalancato sotto i piedi della squadra di Tesser. Per evitarlo e portare a casa la salvezza servirà uno scatto di reni, un sussulto d’orgoglio che oggi è difficile anche solo immaginare in fondo ad un piano inclinato che nessuno sembra in grado di ribaltare. Non dopo la decima sconfitta casalinga, come mai nessuna Ternana era stata capace di fare prima, non dopo cinque partite senza riuscire a trovare mai la rete (ci sia perdonato se non inseriamo nella statistica il gol di Valjent a Lanciano, frutto unicamente del più proverbiale dei colpi di… fortuna) non dopo l’ennesimo avversario rivitalizzato e rilanciato dalla cura Liberati. Ora ci aspettano due finali, e fa tremare i polsi sapere come questa squadra sino ad oggi sia stata capace di fallire tutti gli appuntamenti decisivi. Sia quando sembrava possibile dare una volta alla stagione agganciandosi al treno delle squadre che lottavano per i play off, e a pensarci oggi l’illusione cullata da molti rende ancora più amara la situazione, sia quando ci si poteva tirare forse definitivamente fuori dalla palude della zona pericolosa. Tutto ciò che poteva essere, insomma, e oggi sappiamo bene che non è stato.
Per questo fa ancora più male ed è ancora più terrificante dover affrontare oggi una situazione che, per quanto sembri ormai compromessa, la Ternana può risolvere unicamente con le proprie forze. Per quanto poche siano. Non serve far calcoli, non serve incrociare risultati e tabelle. Occorre ritrovare la vittoria e i punti, occorre la grinta e la cattiveria di chi sa di potersi giocare il proprio destino facendo affidamento unicamente su se stessi. Occorre, o forse occorrerebbe se questa squadra oggi avesse fiducia nei propri mezzi, che non valgono i play off ma come il campo ha dimostrato possono essere sufficienti ad una salvezza in extremis, e non fosse invece in balia delle proprie paure e delle proprie fragilità. Al netto degli infortuni, al netto di una qualità che forse rispecchia la classifica, al netto degli errori imperdonabili commessi da chi questa squadra l’ha assemblata con un pressappochismo degno di categorie amatoriali, al netto anche degli errori commessi da Attilio Tesser (che proprio per gli elementi elencati sopra resta comunque il meno colpevole dei colpevoli), l’impressione che si ricava dalle ultime partite della Ternana è quella di una squadra intimorita e incapace di reagire, di un gruppo disorientato con più paura di sbagliare che voglia di riuscire. Una squadra a cui quasi mai ha fatto difetto l’impegno, ma a cui invece sono mancate sempre freddezza e lucidità, vittima com’è sempre stata della capacità di sapersi imporre e orfana com’è dall’inizio di leader carismatici e uomini davvero in grado di tenere la barra dritta quando le onde si fanno più grosse. In campo e fuori. Non si spiegano altrimenti certi errori clamorosi sotto porta, non si spiegano certi black out e l’assenza di reazione alla prima difficoltà.
Per questo, adesso, si fa fatica a essere ancora ottimisti quando in questi 180 minuti finali più che la qualità conta la freddezza, la grinta e l’esperienza. Servirebbero uomini capaci di risolvere le partite con un guizzo, e invece le polveri dell’attacco si sono fatte ben più che bagnate da quando Avenatti ha smesso di vedere la porta e Ceravolo ha ricominciato ad essere l’inaffidabile finalizzatore delle stagioni passate. Tutto questo senza dimenticare che senza i loro gol oggi saremmo al posto del Varese. Servirebbero uomini smaliziati e d’esperienza, e invece capita di vedere ingenuità autolesionistiche come quella commessa da Dugandzic sabato nel momento più complicato della stagione. Servirebbero molte cose che non ci sono e non potranno esserci. Quello che c’è, però, può bastare nonostante tutto. A patto di guardarsi negli occhi, restare uniti e giocare scrollandosi di dosso la paura di sbagliare. Serve una squadra che torni ad essere il gruppo che abbiamo più volte elogiato e serve che i suoi giocatori migliori si prendano la responsabilità di caricarsela sulle spalle. Serve che gli uomini con più esperienza facciano sentire gli anni e il curriculum e che la società si dimostri, per la prima volta, all’altezza della situazione. Senza calcoli o troppi pensieri. Senza più alibi o inspiegabili timidezze. Centottanta minuti, due partite, poi si faranno i conti, gli unici importanti. E a quel punto saranno finiti tanto gli alibi quanto le prove d’appello e arriverà il momento di tirare le somme. Senza sconti per nessuno. Ma non prima della fine, non fino a quando resta ancora una speranza. Grande o piccola che sia.