Ci perdonerete se torniamo sulla conferenza stampa di ieri. Ci torniamo perché se è legittimo prendere la decisione di vendere la società a fronte di convinzioni personali, di situazioni che non si riesce a comprendere e/o governare, di risultati che non arrivano o qualunque sia la motivazione, è altrettanto legittimo pretendere di lasciare la società in mani sicure: esattamente come è successo nell’ultimo passaggio di proprietà.
Premesso che le modalità di comunicazione della decisione possono essere criticate (la squadra purtroppo vive un momento di grande confusione e questa vicenda non fa altro che acuire una difficoltà: la salvezza non è ancora arrivata) riteniamo che la cessione di una società non può essere condotta se non attraverso dei passaggi (formali o meno) che possano almeno garantire una continuità aziendale.
E’ come nelle cessioni di aziende: c’è sempre chi (nei limiti del possibile) vigili nell’atto di acquisizione.
E’ evidente: non è possibile controllare le dinamiche di libero mercato, ma allo stesso tempo si possono indirizzare. Sia da parte della proprietà, sia da parte delle istituzioni. Così come da parte della tifoseria che nell’analogia potrebbe essere parificata al sindacato: i tifosi sono i lavoratori, quelli che subiscono direttamente il passaggio di quote. Ma ci vuole qualcuno che li rappresenti e ci vuole qualcuno che li tuteli.
Longarini, quando decise di lasciare la Ternana, aspettò che la squadra fosse salva, sebbene avesse maturato l’idea a gennaio. Si prodigò (economicamente) per cercare di salvare la categoria (riuscendovi) e fissò dei criteri per il trasferimento.
Il rischio, nel mondo del calcio, di finire in mano a un avventuriero e ben più grave che finire nelle mani di un neofita. Longarini chiese (ed ottenne, dal suo compratore, ovvero Bandecchi) delle garanzie: soltanto economiche. Si doveva dimostrare di avere in banca i soldi necessari per affrontare le successive due stagioni. E’ evidente che questo non è bastato per evitare la retrocessione (e il disastro sportivo di quest’anno): ma almeno potenzialmente c’erano le basi per poter fare meglio.
Poi sono state sbagliate le scelte, magari gli atteggiamenti o le promesse. Ma allo stesso tempo va dato atto che questa proprietà (come la precedente) i soldi nella Ternana li ha messi.
Ecco quello manca: le regole di accesso. Naturalmente in forma privata, ma comunicate (almeno nei principi) in maniera pubblica.
Ecco perché la conferenza stampa di ieri è stata un’autentica sorpresa (in negativo). Non sapere quanto costa la Ternana, cosa comprerebbe l’eventuale acquirente, i criteri di scelta e cosa succederà qualora gli acquirenti non dovessero arrivare non è una comunicazione accessoria. E’ vitale. E’ il nocciolo della questione. E’ tutto quello che serve sapere dal momento che la società è in vendita. Così come non è un particolare di poco conto sapere se poi la decisione definitiva dovrà essere ratificata o meno dal CdA dell’Unicusano. Queste sono domande a cui più prima che poi si dovrà dare risposta.
E sono risposte che – tornando alla considerazione iniziale – dovrebbe pretendere in primis la nostra amministrazione comunale, e quindi il Sindaco. Perché la Ternana è un bene della città e non può finire in mano al primo che capita. Rischiamo di fare la fine di molte società (anche quest’anno) di Lega Pro (sempre che la squadra si salvi): in mano al primo faccendiere di turno, in mano a vane promesse.
Da quest’anno la Figc ha introdotto il criterio di “onorabilità” legato a nuovi ingressi imprenditoriali nel mondo del calcio. Ma i primi garanti devono essere Bandecchi e il Sindaco.
Noi ci prendiamo (in primis in qualità di cittadini/tifosi) l’onere di ricordarlo. Anche a chi dovrà condurre concretamente la trattativa. Il calcio già è difficile per chi ha risorse economiche: figuriamoci per chi non ne ha e che pensa sia tutto molto più semplice di come appare.
Poi – eventualmente – ci sarà tempo per parlare di competenze. Ma almeno si cerchi di avere le giuste risposte per indirizzare la trattativa. Perché le domande non sempre sono scomode: alle volte sono utili.
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