La vita e la carriera di Luis Jimenez è stata segnata dai colori rossoverdi nel bene e nel male. “El Mago” ora a 35 anni è tornato nel suo Cile, nella suo Palestino il club dal quale a 17 anni ha spiccato il volo per vestire il rossoverde.
Di quegli anni ma anche di quello che è successo dopo fino ai giorni nostri ne ha parlato nel corso di TRT Sport Mix il programma di Nuova Teleterni condotto da Ivano Mari.
Luis innanzitutto parli benissimo l’italiano…
“Provo a tenere i contatti con gli amici italiani ecco perché parlo abbastanza bene la lingua”.
Come sei arrivato alla Ternana?
“Un gruppo d’imprenditori che non c’entrano niente con il calcio prese il mio cartellino quando giocavo nel Palestino e mi chiese dove volessi giocare da grande. Io risposi che volevo andare in Italia. Così dopo aver concluso la mia esperienza con la Nazionale U17 mi dissero che c’era la possibilità di venire in Italia. Ricordo benissimo il giorno in cui sono arrivato. Sbarcai a Milano e pensai, vado a giocare con il Milan o con l’Inter. Invece no perché di li a poco ci spostammo a Roma. Allora ipotizzai che avrei giocato per la Roma o la Lazio. Niente perché da Roma ci spostammo a Terni. Una città a me sconosciuta. Le città italiane che conoscevo erano quelle presenti nei libri di scuola. Nel frattempo capì che a Milano eravamo passati perché c’era Pino Letterio il procuratore che aveva organizzato il mio arrivo in Italia. Arrivai alla Ternana l’anno che fu ripescata dopo essere retrocessa dalla B alla Ci. Feci un provino con la Primavera nel torneo di Viareggio e andò bene. Tanto che mi portarono a farne un altro con il Parma. E andò bene anche quello. Ma con la società emiliana non si fece nulla perché avevano già problemi societari. Così io insieme agli imprenditori che detenevano il mio cartellino decidemmo di accettare l’offerta della Ternana”.
Che ricordi di quel primo anno a Terni?
“C’era Paolo Borea in società mentre il mio primo allenatore italiano è stato Mario Beretta. Per me è stata una stagione difficile. Non parlavo italiano, avevo 17 anni e facevo la prima esperienza fuori casa. Noi latini siamo molto legati alla famiglia, però io volevo giocare in Italia e arrivare a giocare in Serie A, vincere scudetti. Questa voglia mi ha aiutato a restare nonostante non abbia giocato mai. In tutto l’anno avrò fatto 7 presenze in tutto”.
Il tuo rapporto con Edoardo Longarini è stato pesante. Hai vissuto anni nei quali si è sfiorato anche il mobbing. Credi che quello che hai vissuto in quel periodo non ti ha permesso di avere continuità in una grande squadra?
“Penso di si. Dopo il primo anno, ad ogni calciomercato uscivano fuori i problemi perché Edoardo Longarini mi spingeva a rinnovare il contratto. Capisco che sia lecito da parte di una società provare a convincere un proprio tesserato a rinnovare se ha il contratto in scadenza ma non come nel mio caso quando aveva ancora 3 o 4 anni di contratto. Questo mi ha portato a fare delle scelte obbligate come quella di andare a Dubai. Era uno dei pochi posti nei quali potevo andare a giocare dopo essermi liberato con l’articolo 17. Mi è dispiaciuto enormemente andare via dall’Italia”.
Ti è dispiaciuto tornare alla Ternana dopo il primo assaggio di A con la Fiorentina?
“E’ stata dura. I sei mesi dopo Firenze è stata molto difficile. Avevo fatto la mia prima esperienza in serie A e nessuno avrebbe pensato che avrei giocato così tanto. Volevo qualcosa di più. Avrei voluto rimanere a Firenze. Longarini però mi minacciò di non farmi giocare per il resto della durata del mio contratto, qualcosa come due o tre anni. E’ stato difficile. Avevo 18 anni appena compiuti. Sono stato 6 mesi senza giocare. Ho pensato di tornare a casa e lasciar stare. Ma la voglia di giocare al calcio è stata più forte. Ho rischiato andando in tribunale. Mi sono allenato anche a casa di Rocco Dozzini, l’avvocato che mi seguiva in quel periodo. Aveva una casa in campagna e c’era un campo da calcio”.
Tra le tante squadre nelle quali hai militato in Italia c’è stata anche l’Inter…
“Sono stato benissimo, ho sempre ringraziato ovunque sono stato in Italia perché ho potuto fare quello che ho sempre voluto. A Terni sono stato bene, ho sentito l’affetto delle persone al di la dei problemi con Longarini. C’è il rimpianto di non essere riusciti ad andare in A. Ho ancora degli amici là. Mi farebbe piacere tornare e vedere una partita della Ternana. Sono stato bene anche a Firenze e a Roma con la Lazio. Per non parlare poi delle esperienze con Inter, Parma e Cesena. Ho sempre centrato gli obiettivi stagionali delle squadre con le quali ho giocato. Sono nostalgico quando parlo dell’Italia perché so che potevo fare di più”.
Oggi…
“Sono tornato al Palestino un anno fa. Abbiamo vinto la Coppa nazionale. Mi fa piacere perché è stata la società che mi ha lanciato. Sono riconoscente a loro”.
Edoardo Longarini…
“Un giorno sono andato a casa di Edoardo Longarini a Cortina perché dovevo andare alla Lazio. C’è stata una telefonata tra lui e Lotito da film. Io ho quattro case a Cortina, io dieci. Sembrava facessero a gara a chi aveva più case, più soldi, più potere. Nella stessa riunione lui mi mise davanti un foglio dicendomi che era il mio nuovo contratto, di cinque anni e che alla fine io sarei diventato ricco. Gli risposi che non vedevo il motivo di firmare visto che avevo ancora tre anni di contratto con la Ternana. Lui mi disse che se non l’avessi firmato non avrei più giocato. Il contratto era completo ma non c’erano le cifre. Gli chiesi se lui, da uomo d’affari, avrebbe mai firmato un contratto in bianco. Longarini mi rispose che nella mia posizione non ci si sarebbe mai trovato perché aveva la forza, il potere e che se non avessi firmato mi avrebbe fatto stare fermo sei mesi. Gli risposi che le persone per bene non si comportano così. Gli dissi anche che non avrei raccontato nulla di quell’incontro. Ma non ho giocato per sei mesi”.
Il gol più bello di Terni e quello in assoluto?
“Quello con la Fiorentina perché è stato importante in un momento difficile della partita. Me ne ricordo anche un altro, bellissimo contro l’Ascoli. Passaggio di Troise e pallonetto al portiere. Bei ricordi”.
Borgobello ha detto che sei stato tu il giocatore con il quale si è trovato meglio…
“Il primo anno per me è stato difficile. Non pensavo che il livello della B in quegli anni in Italia e per di più a Terni era così alto. Veder giocare Borgobello, Frick, Nicola un pazzo scatenato, Kharja… giocatori di un grande livello. Con Borgobello mi piaceva molto giocare. Kharja è un mio caro amico, ci sentiamo spesso. Ricordo con grande piacere anche gli altri come Frick e Berni”.
L’attaccante con il quale ti sei trovato meglio in carriera…
“A Dubai ho giocato con Grafite e ci siamo divertiti tantissimo. A Dubai e negli altri campionati ci sono due squadre per torneo poi il livello è basso. Nel giro di un paio di stagioni lui avrà segnato oltre cento gol. Io facevo gli assist… quindi fai tu. Anche in Italia ho giocato con grandi attaccanti. Alla Lazio c’era Rocchi, al Parma Bojinov e Crespo, alla Fiorentina Toni, all’Inter c’erano… vabbè delle bestie. Non mi posso lamentare”.
Quando sei arrivato all’Inter hai detto “ce l’ho fatta”?
“No, ho solo pensato che avevo raggiunto mio obiettivo che mi ero prefissato: volevo giocare in una squadra che lottasse per il campionato”.
Ma i capelli che avevi al West Ham?
“Dovevo fare così. La radice del capello era nera e il resto giallo… Vabbè ho fatto una grande cazzata”.
Hai avuto grandi allenatori, chi ti ha dato di più?
“Beretta perché è stato il mio primo in Italia. Venivo dal Cile, da un calcio diverso. Ringrazio tanto Mario perché mi ha fatto sentire pronto per giocare in A. Con Prandelli mi sono trovato benissimo. Quando ero all’Inter mi chiamò per tornare alla Fiorentina. Purtroppo l’Inter non volle darmi in prestito. Mourinho, Bielsa in nazionale che è pazzo di calcio. Non mi sono trovato bene con Delio Rossi che ho avuto alla Lazio. Fece una dichiarazione che non mi piacque quando andai all’Inter ma lui in privato a fine stagione mi fece capire che preferita un altro tipo di giocatore come trequartista. Non a caso in quegli anni dietro le punte nella Lazio giocava Mauri. Peccato perché ero convinto che sarei rimasto anche perché ero lì in prestito per un anno e mezzo”.
Da grande cosa vorresti fare?
“Allenatore o direttore sportivo. Vorrei restare nel mondo del calcio. Non faccio come Kharja che gira il mondo facendo il procuratore”.
Quanto hai faticato sul piano atletico ad ambientarti al campionato italiano?
“Io ero il classico 10 sudamericano. In Italia se non correvi non giocavi. C’erano al massimo due squadre che giocavano con il trequartista. Mi sono dovuto adeguare ad una situazione diversa. Nei primi due anni nel 4-4-2 facevo l’esterno sinistro o destro. Beretta mi ha fatto giocare anche centrocampista centrale. Io non credevo che potessi giocare così. Quando ero in Cile pensavo che correvo male e poco ma che soprattutto dovevo correre poco. Arrivato in Italia è cambiato tutto. Durante la prima preparazione atletica con la Ternana volevo morire. Non dimenticherò mai che mi misero nel gruppo con Riccardo Gissi e Domenico Giampà, due animali per quanto correvano. E io dovevo correre con loro gruppo. Vomitavo, stavo male”.
Più volte si è provato a far tornare Jimenez alla Ternana ma non è stato possibile perché ha il passaporto da extracomunitario…
“Io sarei tornato volentieri. Ho vissuto a Terni tre anni e mezzo. Mi sono trovato bene. Città carina, hai tutto. Inoltre il calcio si vivo in modo diverso. Sicuramente tornerò a trovarvi, appena mi fermo”.
Quanti anni vuoi giocare ancora?
“Uno, due al massimo. Ho 35 anni”.
Qual’è il tuo modulo preferito?
“4-2-3-1 anche se qui giochiamo con il 4-3-1-2 e io sono l’uno. Ah però ho fatto anche la punta da sola quando è servito”.
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