Battere il Bari è sempre una goduria. Il Bari ci condannò alla retrocessione più cocente di tutti i tempi. Aver strappato i tre punti proprio a loro, che con quelli dell’andata fanno sei, è un motivo ulteriore per essere felici. E questa era la premessa.
La partita dell’altra sera vista dalla curva è una di quelle che proprio nella curva trova la sua essenza. Ci sono partite e partite. Vittorie e vittorie. Non sempre la curva riesce a essere così carica di significati, di sentimenti, di forza. L’altra sera al Liberati non si giocava per vincere qualcosa di concreto e neanche andava in scena alcuna rincorsa ai playoff. Altro che miracolo Carpi o sorpresa Vicenza. Alla Ternana i campionati belli, specie in Serie B, non capitano mai o quasi mai. Quei 4 mila del Liberati dell’altra sera, non sanno neanche che cosa significa sognare. L’hanno rimosso, manco gliene importa più niente. Sono abituati a soffrire. Sì, esatto: nati pè tribbolà. L’altra sera al Liberati si giocava solo per fare un passetto in avanti verso la sospirata salvezza. In campo c’era una squadra cò ‘na scarpa e ‘na ciavatta, un gruppo di giovani che provano sempre a mettercela tutta, nonostante i limiti. Nonostante la crisi nera, nonostante la scia di infortuni di questo 2015. La gente del Liberati lo ha capito, che questa squadra è come un bambino da coccolare. E’ stata costruita così e adesso bisogna portarla per mano fino al traguardo. I sogni possono essere rimandati al futuro (come sempre), adesso c’è da lottare per la sospirata salvezza.
Per chi vi scrive, il tifoso della Ternana a occhio e croce dovrebbe essere stato progettato, tantissimo tempo fa, come bestia tenace in combattimento. Una creatura instancabile e immortale, che sa esaltarsi soprattutto quando si fa buio. L’altra sera al Liberati era buio, non perché era sera ma perché non vincere sarebbe stato tragico. Chi ha messo piede al Liberati lo ha fatto con la dignità e l’entusiasmo di lottare per un obiettivo di cui non si schifa: la salvezza. Questo spirito di sacrificio collettivo ha trovato la sua massima espressione proprio nella curva, che è stata appunto carica di significati, di sentimenti, di forza. E le curve hanno finito per contagiare tutti i settori. La serata era cominciata con una paura esagerata: alla vigilia l’obbligo di vincere, poi, durante il primo tempo, quel Bari spigliato che ha fatto tremare il palo e i cuori. I due lampi di Ceravolo hanno segnato il confine tra il prima e il dopo. Hanno illuminato a giorno, scatenato urla liberatorie, abbracci e sorrisi. Gioia. La partita è finita quando hanno cominciato a saltare tutti: il Bari era al tappeto e il Liberati saltava, sopra e sotto, senza distinzioni di settore. Saltava perché vuole salvarsi.
Forse è vero che non siamo condannati come sembravamo. Forse ha ragione Tesser, uomo eccezionale e grande allenatore, quando chiede equilibrio nei giudizi. Forse questa Ternana si sta rialzando, lentamente, e vuole essere accompagnata all’obiettivo. L’altra sera quei 4 mila che erano accorsi ad accompagnarla hanno sperimentato la gioia che si prova marciando uniti verso lo scopo. Ma non è finita: comincia adesso. Dobbiamo giocarne altre sette, di partite, con lo stesso spirito di sacrificio che ci rende così orgogliosi e forti, anche se cò ‘na scarpa e ‘na ciavatta. I sogni li lasciamo agli altri. Siamo Ternani, bestie da combattimento. Così feroci da far tremare uno stadio aperto e dispersivo anche in 4 mila. Così innamorati, abituati al sacrificio e immortali da ringhiare e suonare i clacson per una vittoria in ottica salvezza. Ci piace anche questo.
Buona Pasqua.
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