Parola a Zampagna: “Ho un solo rimpianto in carriera: la Nazionale”

L’ex attaccante della Ternana si racconta a TuttoMercatoWeb: “La scuola calcio mi tiene super impegnato e mi da enormi soddisfazioni”

Riccardo Zampagna è uno degli ultimi eroi romantici del calcio. La favola del giocatore che parte dall'Eccellenza e arriva alla Serie A, che infiamma le folle con gol in rovesciata, che ci fa capire che ci sono ancora calciatori mossi dalla passione. Il sogno di giocare per la squadra della propria città, la rinuncia ai palcoscenici prestigiosi, come Parigi o Londra. Roba d'altri tempi, insomma. Oggi Zampagna, 47 anni, è ancora legato al mondo del calcio, insegna ai più piccoli ed è in pista da qualche anno anche tra i più grandi, coltivando il sogno di entrare tra i professionisti. E magari fare la stessa escalation che ha avuto da calciatore. Ai microfoni di Tuttomercatoweb si racconta:

Riccardo Zampagna, cosa fai oggi?

"Ho una scuola calcio a Terni, vi sono più di 80 bambini e per quest'anno siamo stati l'unica in Italia a non far pagare le quote annuali, solo l'iscrizione. È un'attività che mi tiene super impegnato e mi dà enorme soddisfazione, specie quando scendo in campo con i bambini. Faccio anche lavoro d'ufficio: organizzazione amichevoli, allenamenti, iscrizioni".

Da questi bambini potrebbe esserci il nuovo Zampagna, magari

"Sarebbe un sogno, per davvero. Un ternano che gioca per la Ternana, da protagonista".

Qual è l'insegnamento che dai a loro?

"Chiaramente devi dargli un'inquadratura, altrimenti non va bene. Ma quando hanno la palla al piede e sono vicini alla porta avversaria devono essere liberi di fare sennò gli stoppi il talento".

Oltre a insegnare ai piccoli sei anche allenatore dei giocatori più grandi

"Avevo preso il patentino, ma senza nemmeno crederci troppo. Ho iniziato per scherzo, con un mio caro amico che mi diceva: 'Vieni ad allena', non vedi che allenano pure cani e porci…'. Mi sono fatto convincere e alla fine mi sono divertito tantissimo, ci ho preso gusto e alla prima esperienza ho vinto il campionato di Prima Categoria non con i giocatori contati, di più. Esperienza che ti tempra, sotto tutti i punti di vista. Ho vinto poi il campionato di Promozione con l'Assisi. Ho fatto anche la D con la Trestina, finito in un girone con le squadre sarde e con rivali che spendevano un botto di soldi. Nonostante tutto ero salvo già a metà stagione".

Nel curriculum mancano i professionisti. Scelta tua… o degli altri?

"Guarda, dopo essermi salvato con largo anticipo in D e con le due promozioni che avevo ottenuto mi dicevo: 'Ora arriva una chiamata dalla Serie C'. Niente. Ma non ho perso la speranza: la aspetto, ci spero".

Ti sei dato una spiegazione?

"Forse la personalità troppo forte può dare fastidio ai dirigenti. Magari sono visto come uno che non si accomoda, altrimenti non si spiega. Servirebbe un dirigente che sappia gestirmi sotto questo punto di vista. Eppure non penso di essere così rigido, anzi. E poi ho tanta passione, mi aggiorno, studio. E ci spero sempre".

Ti ispiri a qualcuno?

"A me stesso, ho una mia visione del calcio. Sia chiaro, ho appreso sempre qualcosa dagli allenatori che ho avuto. Per fare un esempio concreto cito Bortolo Mutti, per me un secondo padre. Mi ha fatto esordire in Serie B al Cosenza e in A al Messina, eppure da parte sua avevo visto una freddezza incredibile. Mi aspettavo magari che si potesse anche andare a cena insieme e ci rimasi male. Mi fece capire che le distanze tra un allenatore e un calciatore devono sempre essere mantenute per non rovinare il rapporto".

Per un periodo della tua vita il calcio era stato messo da parte

"Avevo smesso di giocare e mi era venuta come una crisi di rigetto. Il calcio non mi piaceva più. Così ho aperto una tabaccheria. Mi sono però reso conto dopo un po' che mi mancava quel mondo, lo spogliatoio, l'odore dell'erba. E chiuso dentro la tabaccheria mi sentivo come un leone in gabbia".

Da calciatore sei sempre considerato come l'esempio di come anche partendo dal basso si può arrivare in Serie A. L'ultimo caso è Messias ma in generale è difficile emergere se parti dalle categorie inferiori

"Io mi auguro che storie come la mia accadano più frequentemente, anche se mi rendo conto che è dura. Quel che posso dire è che se vuoi farcela devi lottare ogni giorno per arrivare a fare qualcosa di più. Ci vuole lo spirito di sacrificio, tanta testa, tanta passione. Andare a dormire presto al sabato sera mentre i tuoi amici vanno a fare casino. Anche nelle categorie più basse io ci credevo, volevo dare il meglio di me stesso e cercavo di fare una vita da professionista".

Negli ultimi anni si è spesso sottolineato come le categorie inferiori avessero abbassato il livello qualitativo

"Guarda, lo scorso anno ho seguito la C e devo dire di aver visto dei talenti, su tutti Lorenzo Lucca, ora al Pisa. L'ho visto in Palermo-Ternana e ne avevo parlato a suo tempo: mi diedero del matto ma evidentemente ci ho visto lungo. E poi la Serie B quest'anno mi sembra la migliore degli ultimi 20 anni. È vero che per 5-6 anni è stata abbastanza patetica, ma ora è rinata, bella da vedere. Sono tutti preparati, vedo bei giocatori. Alla fine va a generazioni".

In B il tuo nome è legato soprattutto alla Ternana, la squadra del tuo cuore. Eppure sei rimasto una sola stagione

"Mi ritengo un uomo fortunato. Aver indossato la maglia della Ternana per un ternano è il massimo. Io ero la persona che da bambino se gli chiedevi: 'Vuoi fare il cantante? L'attore?' rispondevo: 'No, voglio giocare per la Ternana'".

Un amore tale che avresti persino rinunciato alla Serie A

"Il Messina mi aveva riscattato ma io volevo restare a Terni a tutti i costi. Franza non ne volle sapere".

Altro rapporto importante con l'Atalanta

"Per i nerazzurri ho rinunciato al Paris Saint-Germain, ma anche al Fulham e c'era il Monaco di Guidolin che era interessato. Ma l'Atalanta è gemellata con la Ternana e la Dea era il mio Real Madrid, una pazzia particolare. A me piaceva giocare a Bergamo, la curva che cantava. Non ho rimpianti, ho molti amici a Bergamo dove mi apprezzano come uomo per la scelta fatta".

Rinunciare al Paris Saint-Germain oggi sarebbe qualcosa di folle. E la scelta fatta da Donnarumma e le conseguenze sono ancora di stretta attualità

"Ognuno si prende le proprie responsabilità. Io non lo avrei fischiato, ma certamente non avrei fatto la sua scelta".

Le tue non sono state dettate da motivi economici, sembra evidente

"Racconto questo episodio del 2008 per rendere l'idea: c'era il Torino in Serie A che mi offriva un triennale, io invece decido di scendere in B e firmo Vicenza ultimo in classifica. Era una sfida che mi affascinava troppo, quella di portare la squadra alla salvezza. E ce l'ho fatta".

In carriera non ti sei fatto mancare nemmeno il libro autobiografico

"Più di 3mila copie vendute. Ebbi in mente di scrivere la mia autobiografia, molto leggibile e tutto il ricavato l'ho dato all'ospedale di Terni per comprare il mammografo digitale. È stato bello, ancora me lo chiedono. Il titolo poi mi è venuto in un secondo: 'Il calcio alla rovescia'. Del resto penso che la mia sia storia che se non è unica non si vede spesso".

In definitiva: nessun rimpianto?

"Uno c'è ed è la Nazionale. Lo ammetto, ci speravo e pensavo di giocare almeno tre minuti, non pretendevo chissà cosa. C'è stato un periodo in cui ero ai primi posti della classifica cannonieri e l'Italia avrebbe giocato a Messina, praticamente ero in casa. Niente. Questa cosa sì, mi è rimasta sullo stomaco".