La Gazzetta dello Sport torna di nuovo sul caso Pisa-Petroni-Dana, e lo fa intervistando direttamente il giovane figlio del maggior azionista nerazzurro, Lorenzo Giorgio Petroni, che spiega ammette le colpe nella gestione del caso scoppiato in estate, ma che cerca anche di fare chiarezza.
"Vogliamo creare un rapporto costruttivo con città, squadra e dipendenti – dice il giovane Petroni, e su Pablo Dana – "Noi abbiamo sottoscritto l'accettazione della loro offerta: 310 mila euro più caparra di 5190 milioni in un fondo a garanzia. Non l'hanno rispettata e quindi il discorso è chiuso". E ancora, sul valore del Pisa: "Il Pisa in B vale 7,5 milioni, noi ne abbiamo chiesti 6,2. Abbiamo speso 1,5 a gennaio per tenerlo in vita quando siamo entrati. Poi ci sono stati gli stipendi, l'iscrizione e il resto, fino agli stipendi pagati il 15. Il problema, comunque, non si pone: ripeto, andiamo avanti noi. Se ci fosse stato lui (il padre ora agli arresti N.d.R.) tutto sarebbe stato gestito in maniera ben diversa".
Petroni jr ammette che la società ha sbagliato nella scelta di strategie e di comunicazione, ma parla anche della mancata trasefrta a Terni, spiegando che in quel caso sono stati i problemi ambientali a farla saltare, non la società, che però ha certamente le sue colpe per quel che riguarda l'assunzione di tanti dipendenti che poi non si sono potuti pagare e mantenere.
"Le bugie le hanno dette in tanti – conclude Lorenzo Giorgio – Assicuro che per un ragazzo districarsi tra tante difficoltà e persone che cercano di approfittarsene non è semplice".
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