Entrare nella testa dei giocatori. L’obiettivo principale che si era posto mister De Canio dal primo allenamento. Riuscire a districare quel complesso groviglio di emozioni, delusioni, rabbia, sconforto e voglia di rivalsa che imprigionava individualmente e collettivamente la squadra. Per questo, la vittoria contro la Cremonese non è stata solo un’inversione di rotta rispetto alla sequenza di sconfitte, ma anche una liberazione nella psiche agonistica dei calciatori. Una gabbia di paura li stava condizionando: il nome della loro squadra, in fondo alla classifica, li rendeva vulnerabili di fronte a squadre che mai hanno dimostrato di essere superiori ai 24 di Luigi De Canio. Lavorare sul campo e nella testa degli atleti. Tecnica, tattica e coraggio. Tre elementi che dovevano solo essere liberati dalla tristezza di sentirsi i peggiori della classe e per giunta ingiustamente. L’allenatore di Matera deve aver pensato alla sua terra, alla sua città patrimonio dell’Unesco, a quei sassi, che in qualsiasi altro luogo del mondo sarebbero calpestati, gettati via, ignorati e considerati ultimi nelle cose della natura. Forse proprio in quei sassi, che a Matera sono un tratto distintivo della bellezza paesaggistica, che sono non l’ultima, ma la prima cosa a cui si pensa e che si associa alla città lucana, De Canio deve aver trovato e consegnato alla squadra la parola d’ordine per ritrovare la forza delle Fere: non sentirsi mai ultimi. Come Terni. Come i ternani. Che “tribolano” ma non si sentono mai gli ultimi. Anzi.
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